Era il dopoguerra 1945 Testimonianze >>>
di Giovanni Carducci
 

Era il dopoguerra 1945.
Abitavo in via Petrucci, vicino alla maestra Bianca, e lavoravo da ”Tombolì”, nella bottega del fabbro che si trovava nelle scalette del duomo in via Costa lombarda.
Si lavorava soprattutto per il comune di Jesi con riparazioni ai bidoni di ferro dell’immondizia, alle ringhiere delle carceri, alle cancellate e altro, ma mi mettevo spesso a studiare musica davanti alle scalette della bottega.
Sopra, dalla parte opposta alla bottega, c’erano le finestre di Rolando Fiordelmondo con di fronte quelle di Veniero Mancinelli. Quando Rolando cominciava a studiare vicino alla finestra esercitandosi con la sua tromba, Veniero da casa sua gli rispondeva con il suo strumento da accompagnamento, il “genis”, e io di sotto con il clarinetto, perché tutti e tre eravamo allievi del maestro Coli nella banda cittadina.
La gente stanca di ascoltarci ogni tanto ci mandava qualche imprecazione del tipo: -Fatevela finita! ci avete rotto... Certo, quegli studi per banda non erano piacevoli come le canzonette, ma noi continuavamo imperterriti fino a che la sera tornavamo a lezione a scuola dove era la sede della banda.
Per un periodo di tempo tutto andò più o meno bene.
Nel frattempo il maestro Coli cambiò più volte lo strumento a Veniero, passandolo dal genis al bombardino e successivamente al trombone da canto, perché doveva fare il solista per delle romanze come il Rigoletto, la Bohème, la Traviata, il Trovatore e tante altre opere celebri.
Agli spettacoli della banda la piazza era sempre piena di gente, perché, non essendoci ancora la televisione, le nostre esibizioni erano molto apprezzate. Suonavamo ogni quindici giorni in piazza del Plebiscito, oggi piazza della Repubblica, di fianco all’Obelisco, messo poi in piazza del Duomo; sopra un palco allora di legno e davanti al teatro Pergolesi avevano luogo i nostri concerti con tutto il nostro repertorio.
Passarono gli anni e Veniero, il più grande di noi tre, partì a fare il militare.
Ricordo che il maestro Coli fece di tutto per farlo venire il più vicino possibile a Jesi, in modo da poterlo ancora utilizzare nei concerti della banda. Riuscì a farlo trasferire a Pesaro, ma Veniero non amava molto spostarsi fino a Jesi perché non aveva disponibilità finanziaria per poterlo fare.
Alcune volte al maestro faceva dei dispetti non facendosi rintracciare, così, invece di farsi trovare libero, si faceva mettere di servizio alla torretta di guardia in caserma. Per questo motivo qualche concerto è stato fatto senza di lui, ma il maestro aveva imparato ad andarlo a prendere con la sua macchina e a regalargli alcune migliaia di lire. Di colpo gli tornò la passione.
Veniero non navigava nell’oro, faceva il pittore imbianchino insieme ai fratelli Curzi, Franco e Savino.
Una volta, avevamo 13/14 anni, eravamo in una colonia estiva a Cupramontana. Veniero prese una storta al piede e si aiutava con un bastone, Rolando si fece male a un occhio e si bendò. Così presero il nomignolo del gatto e la volpe, il gatto zoppo e la volpe cieca, visto che andavano sempre in coppia ed erano inseparabili.
Se ne combinava tante da monelli con la musica, nelle gite della sampietrina sul monte Catria, sul San Vicino, con le serenate alle ragazze sotto le finestre… Gustì de Bini cantava, Lucio Longhi suonava la fisarmonica.
Ci sarebbe da scrivere un romanzo.

Giovanni Carducci

 
 
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